SIMI, LE SUE PAROLE SUL CONCERTO DI DIANA KRALL

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Simi, le sue parole sul concerto di Diana Krall

Giampaolo Simi ci racconta il suo concerto di Diana Krall (6 luglio, Lucca Summer Festival):

 

Per favore, mandate Diana Krall a un talent-show. Uno qualsiasi. Se non ci vuole andare, collegatela in teleconferenza, proiettatecela in forma di ologramma o di avatar, evocatene il corpo astrale, clonatela. Basta che ce la mandiate. Mandatecela a far sentire come si esce dal tunnel della pacchianeria vocale che affligge i giovani virgulti in ansia da prestazione. Mandatecela a mostrare che non serve impugnare il microfono come un'arma impropria, che non importa sdilinquirsi in mille birignao di finti turbamenti, che cantare non è fare il triplo carpiato con l'ugola. Cantare non è tutta quella roba là. Una volta che hai ascoltato anche solo la struggente “Glad Rag Doll” nella versione di Diana Krall, quella roba là, al massimo, la puoi rubricare fra la bigiotteria.

Interpretare una canzone non è emozionare fingendo emozioni. Per quello la Krall può sembrare esteriormente anche troppo compunta, misurata, asciutta. Quando suona il piano elettrico dà le spalle al pubblico, i suoi musicisti sono vestiti come impiegati appena usciti da un turno 9-17. Non c'è niente in questo concerto che sia sottratto al potere evocativo del suono. Un mix di perfezione millimetrica e di atmosfera informale che riporta a una musica sporca, scabra, basica (ma non facile da suonare) come quella degli anni '20 e '30 del secolo scorso. Anni di fasti, di progresso, di esplosioni creative e di grandi illusioni. Ma anche anni di amarissime delusioni, di crisi e di povertà, stretti nella tenaglia fra due guerre mondiali devastanti. Gli anni in cui nasceva ciò che oggi chiamiamo noir, vale a dire il grande romanzo d'avventura metropolitano. 

Il concerto della Krall non è però un'operazione-nostalgia. E te ne accorgi quando, assieme al repertorio blues, ragtime e honky-tonk di quegli anni lontani, il concerto scivola verso cover di Neil Young, di Tom Waits o di The Band senza uno scalino in cui inciampare.

Unico rimpianto: “Almost Blue” me la sarei aspettata. Non perché si debbano sempre fare le cose in famiglia, sia chiaro. Non so, si vede che, alla fine, sono un sentimentale.

Giampaolo Simi